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A quasi quarant'anni dal tragico incendio, due ricerche scientifiche in ambito universitario contribuiscono a fare ulteriore luce sulle dinamiche che portarono alla morte di 35 persone
immagine 1 Fumo presente nel Palazzo, istante temporale t=50s.

A quasi 40 anni dai tragici fatti, il rogo scoppiato a Todi all’interno del Palazzo del Vignola il 25 aprile 1982 finisce sotto le lenti della ricerca scientifica universitaria, grazie a due tesi discusse nei giorni scorsi a Terni presso il corso di Laurea triennale in Ingegneria Industriale dell’Università degli Studi di Perugia.
Sotto la supervisione del relatore Prof. Ing. David Rugeri e del co-relatore Dott. Ing. Vincenzo Cascioli, i due neodottori in ingegneria Elena Benedetta Pirozzi e Massimiliano Proietti, entrambi ternani, partendo dagli atti e dai documenti tecnici contenuti nel fascicolo processuale e già riprodotti nel volume di Massimo Rocchi Bilancini Brucia il Vignola. Trent’anni dopo, fra rimozione e memoria, hanno tentato di ricostruire quanto accaduto all’interno dell’edificio ospitante la XIV Mostra dell’Antiquariato nei secondi e nei primi minuti successivi all’innesco delle fiamme. Fiamme, lo ricordiamo, la cui origine non è mai stata chiarita del tutto, essendo stata ipotizzata dai periti d’ufficio nominati all’epoca la responsabilità di un corto circuito elettrico o di un mozzicone di sigaretta non spento.

Con quali modalità il fuoco iniziale – divampato presso le due rampe della scala secondaria colleganti il piano rialzato al primo piano e chiuse al pubblico – si è evoluto nel giro di poco tempo in un incendio rovinoso che ha portato alla morte 35 persone e provocato ustioni indelebili sulla pelle di molti dei sopravvissuti? In quali direzioni si sono sviluppate le fiamme e si è diretto il denso fumo nero, prodotto dalla combustione dei materiali sintetici utilizzati nell’arredo della Mostra, altamente infiammabili? Con quale velocità e secondo quale progressione la visibilità negli spazi del palazzo è diminuita, l’aria si è fatta satura di monossido di carbonio e la temperatura è salita oltre i 60° C, soglia oltre la quale si determinano per lo shock termico effetti incapacitantitali da rendere non più possibile per chi si trovasse coinvolto il raggiungimento di una via di fuga?

A queste domande, in particolare, ha cercato una risposta la Pirozzi nella sua tesi attraverso una simulazione effettuata con un software specifico denominato FDS™ (Fire Dynamics Symulator), un programma di fluidodinamica computazionale dedicatoall’analisi degli scenari di incendio e sviluppato negli Stati Uniti dal NIST (National Institute of Standards and Technology). La simulazione – visualizzata attraverso l’interfaccia grafica 3D denominata Smokeview™– è stata preceduta da un attento lavoro di ricostruzione delle volumetrie del palazzo attraverso il software di disegno tecnico assistito AutoCAD™, a partire dalle planimetrie dei tre piani recuperate dal fascicolo processuale conservato presso l’archivio del Tribunale di Perugia.

Tra i molti dati raccolti, si ricava ad esempio che al piano secondo dell’edificio – dove si concentrarono ben 29 vittime – già dopo i primi 200 secondi dall’innesco delle fiamme la temperatura aveva raggiunto i 210° C in prossimità dell’accesso alla scala secondaria ed una temperatura di 110° C (dunque ben oltre la soglia della sopravvivenza) anche lungo il corridoio e presso la rampa delle scale principali. Ma prima ancora della temperatura e del monossido di carbonio, la Pirozzi conclude affermando che “a parità di tempo, il parametro che è stato più determinante per l’incapacitazione degli occupanti è stato quello della visibilità. La scarsa visibilità dovuta al fumo non ha concesso agli occupanti di individuare le vie d’esodo. È possibile notare che se ci fosse stata una segnaletica retroilluminata ad indicare le uscite di emergenza, ciò avrebbe contribuito in maniera significativa all’individuazione delle vie di esodo nelle prime fasi dell’incendio”.

Utilizzando lo stesso software FDS™ e l’interfaccia Smokeview™, integrati però dal modulo EVAC™ specifico per la simulazione dell’esodo delle persone presenti, Massimiliano Proietti, peraltro nella vita funzionario tecnico dei Vigili del Fuoco, ha indagato sulle fasi di evacuazione delle persone presenti all’interno del Vignola (quantificate in 180) simulando quello che è stato lo scenario reale (“quanto possa essere verosimilmente accaduto” nei primi 500 secondi del rogo) ma anche simulando altri scenari ipotetici includenti la piena fruibilità di una seconda scala quale ulteriore uscita di sicurezza in aggiunta allo scalone principale e la presenza negli spazi del palazzo di cartellonistica più o meno adeguata (pannelli di segnalazione delle vie di esodo retroilluminati e pannelli di segnalazione passiva). Gli scenari ipotetici, in numero di sei, hanno tenuto conto anche di altre variabili quali la presenza di un impianto di rilevazione dei fumi e la supposta (in)formazione dei visitatori nel momento del loro accesso alla Mostra tramite brochure o video illustrativi dell’esatta ubicazione delle vie di esodo presenti nel palazzo.

Anche la tesi di Proietti conferma che a parità di tempo il parametro decisivo per l’incapacitazione dei presenti è stato quello della scarsa visibilità dovuta al fumo e che una segnaletica retroilluminata avrebbe senz’altro aiutato ad individuare le vie di esodo. Inoltre, si sottolinea quanto “la scelta dei materiali di allestimento (tendaggi, rivestimenti murari, etc.) con una reazione al fuoco certificata di classe almeno A2 avrebbe sicuramente diminuito in maniera sostanziale la velocità di propagazione dell’incendio, permettendo l’evacuazione in condizioni di visibilità molto più cautelative. Un’altra soluzione che avrebbe sicuramente permesso alle persone presenti di salvarsi sarebbe stata la compartimentazione della scala principale, rendendola di tipo protetto in quanto, anche negli scenari più favorevoli da un punto di vista di evacuazione, si evidenzia che alcune persone non raggiungono le uscite di sicurezza. Nella odierna progettazione antincendio questa circostanza non sarebbe accettabile e quindi avrebbe condotto ad una riprogettazione delle vie di esodo, rendendole almeno di tipo protetto”. In ultimo, conclude Proietti, alludendo alle responsabilità ricadute in sede processuale sull’organizzatore della Mostra, “il grave errore commesso in questa tremenda tragedia è stato quello di utilizzare una delle due scale del palazzo come area espositiva e per giunta allestirla con materiale non conforme alla reazione al fuoco, anziché renderla un naturale percorso di esodo fino all’uscita di emergenza”.

Il lavoro di ricerca non finisce qui, in futuro attraverso nuove tesi di laurea si procederà all’approfondimento di ulteriori aspetti tecnici relativi al rogo di Todi. Altri parametri potranno essere considerati quale la rottura dei vetri delle finestre del palazzo dovuta all’aumento della temperatura, che ha senz’altro favorito la ventilazione dei fumi e il prolungamento dei tempi di sopravvivenza delle persone rimaste bloccate all’interno. Un altro sviluppo futuro delle ricerche potrà riguardare l’aumento del lasso temporale oggetto delle simulazioni, considerando il tempo totale dell’incendio. Nell’attesa, sarebbe auspicabile che i dati finora raccolti e i risultati conseguiti possano essere presentati al pubblico e in primo luogo alla comunità tuderte. Il quarantennale della tragedia (il 2022 si avvicina) potrebbe costituire l’occasione giusta per farlo.

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