La collega Paola Fioroni, consigliera regionale della Lega, in un suo recente intervento su questo giornale, ha tentato, per l’ennesima volta, di scaricare la responsabilità del disavanzo, accumulato dalla sanità regionale, alla giunta precedente nonostante siano trascorsi più di tre anni dall’insediamento dell’amministrazione Tesei. Ma se ciò fosse vero nonostante i numeri dimostrano il contrario, come risulta chiaro dal riparto del fondo ministeriale 2019 che riporta ancora l’Umbria seconda regione benchmark d’Italia dopo il Piemonte sulla base del Lea 2016, non si comprende come l’attuale governo regionale non abbia saputo far fronte a questa presunta emorragia di risorse finanziarie legata a problemi strutturali ereditati dal passato.
Legittimo chiedersi allora se, in questi tre anni, la sanità abbia avuto o meno un governo. La verità la sanno bene tutti gli operatori che lavorano in questo settore: è proprio il tipo di governance verticistica adottata da Tesei e Coletto, la prima causa di questo fallimento. La sanità, infatti, non può e non deve essere gestita dall’alto del palazzo regionale. Gli uomini soli al comando della Direzione regionale e le varie cabine di regia sembrano essersi destate di colpo, lanciando strali contro chi non avrebbe agito secondo i programmi regionali. Peccato che, nel frattempo, il deficit accumulato ha sfondato la soglia del 250 milioni di euro. Forse non è un po’ tardi per porvi rimedio? È pur vero che si dà per scontato che ai cittadini poco importa se il controllo di gestione non è stato sufficientemente attento ai conti. Interessa però che la sanità funzioni. Ma le due cose spesso sono collegate.
In questo caso, a differenza di quanto succede in altre regioni, la sanità, così come i conti, sono del tutto fuori controllo.
È bene allora ripartire da alcuni numeri per fare un’analisi veritiera e puntuale, consapevoli che gli indicatori ci dicono che la sanità umbra si sta di fatto meridionalizzando. Mentre sempre più cittadini sono costretti a curarsi fuori regione incidendo fortemente sulla mobilità passiva. Tra il 2019 e il 2021 l’Umbria ha ricevuto 107,5 milioni di fondi ministeriali in più per far fronte alla pandemia.
Data la situazione sarebbe doveroso dare conto nel dettaglio su come sono poi stati utilizzati. Negli stessi anni si rileva che, fronte del minor numero di prestazioni effettuate, i ricavi nel 2021 sono diminuiti di 10 milioni e così le entrate relative ai ticket (- 5,5 milioni di euro).
Nel 2020 Il risultato è ancora più disastroso in quanto la perdita di redditività è stata di oltre 58 milioni a fronte di maggiori trasferimenti per 88.
Ma a fronte di un’evidente contrazione delle attività e delle prestazioni il dato più eclatante è rappresentato dal contestuale aumento esponenziale della spesa per beni e servizi (+ 45,8 milioni) e di quello per la spesa del personale (+ 18,4 milioni).
Non serve aggiungere altro. Questi numeri inchiodano alle loro responsabilità i dirigenti e la politica portata avanti dalla destra. Come è possibile che mentre la produttività scendeva si sono acquistati beni come se le aziende andassero a gonfie vele? Come si giustifica una spesa per il personale così sorprendentemente elevata quando le assunzioni non ci sono state e c’è ancora una drammatica carenza di personale? Dove sono finiti allora questi soldi?