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I dati, riferiti al 2022, mostrano una media in Italia di 1,24 figli per donna, con l'età media in cui hanno figli è in crescita, arrivando a 32,4 anni
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L’Italia da svariato tempo è finita in una trappola demografica “figlia” della bassa natalità che, anno dopo anno, tende ad autoriprodursi, favorendo il restringimento della platea delle donne che potenzialmente possono diventare madri.
Una delle conseguenze di questo fenomeno è il netto aumento delle famiglie di dimensioni ridotte, caratterizzate sempre più dall’avere un solo figlio, che finiscono con l’incidere negativamente sull’invecchiamento della popolazione, ovvero sull’innalzamento dell’età media dei suoi componenti e quindi sulla crescita della quota di anziani sul totale. Qualche dato. L’età media degli italiani tra il 2012 e il 2022 si è alzata di ben 3 anni (da 43,2 a 46,2) e l’indice di vecchiaia è cresciuto di quasi quaranta punti percentuali (da 148,6 a 187,6).

In pratica, volendo usare un linguaggio più diretto, siamo di fronte ad uno scompenso generazionale frutto di una crescita (alquanto veloce) della popolazione in età matura che va a sfidare gli equilibri socioeconomici del Paese. Si pensi, a tal proposito, all’inevitabile lievitazione dei conti pensionistici e/o delle spese sanitarie.
Ciò premesso, andiamo per gradi. Dapprima analizziamo cosa ci dicono i dati sul fronte fecondità/natalità. Dopodiché ci concentreremo sul perché nelle coppie italiane c’è un orientamento che ha sdoganato il modello riproduttivo del “figlio unico” (forse).

Fecondità e natalità in Italia e nelle sue Regioni
Il numero medio di figli per donna nel Bel Paese ha subito un duro colpo. Nelle italiane ci si sta avvicinando da diversi anni progressivamente all’avere in media un solo figlio. Nell’intervallo di tempo 2008-2022, ad esempio, si è passati da 1,33 a 1,18. Spostandoci sul versante delle straniere che vivono in Italia, si rileva una tendenza di lungo periodo che le accomuna alle italiane. Tant’è che tra il 2008 e il 2022 si è registrato un -0,7 figli che le fa scendere dal 2,5 all’1,8 circa – sotto la soglia di sostituzione, che è rappresentata da quota 2,1. Quindi, tirando le somme, le donne non di origine italiana stanno, nei fatti, tendendo ad uniformarsi ai comportamenti riproduttivi delle locali.

Osservando il numero medio totale di figli per donna in Italia il dato del 2022 (ultimo disponibile) si attesta a 1,24; nel 2008 era pari a 1,44.
Zoomando sul 2022 delle singole regioni emerge che la Sardegna è l’unica a scendere addirittura sotto quota 1 ovvero a 0,95; la performance migliore la fa registrare il Trentino-Alto Adige con 1,51.
Il minimo storico di nati per mille abitanti si è toccato nel 2022 con un valore pari a 6,7; nel 2008 erano 9,6.
A livello regionale i dati dell’ultimo anno disponibile (2022) ci dicono che il territorio che fa meno bene è, anche in questo caso, la Sardegna (4,9 x 1000), mentre quello che fa meglio è il Trentino-Alto Adige con 8,3 x 1.000, seguito dalla Campania (7,9 x 1.000) e dalla Sicilia (7,6 x 1.000).
L’età media al parto nel 2022 in Italia si è attestata a 32,4 anni. Allo stesso modo si comportano Umbria, Piemonte, ed Emilia-Romagna. L’età minima la si registra in Sicilia con 31,4, mentre quella massima la si ha in Basilicata con 33,1 – che in questo caso fa peggio della Sardegna.

 

Senza girarci troppo intorno, i dati appena analizzati ci mostrano che un certo andamento italiano va ormai considerato come strutturale; ed è sicuramente anche per questo che le politiche di supporto alla natalità, via via adottate, hanno faticato e faticano a produrre qualsivoglia effetto degno di nota sul totale delle nascite.
La realtà nuda e cruda è che l’Italia dapprima ha dovuto prendere atto della diminuzione dei potenziali nati e poi anche delle potenziali madri (le donne di età compresa convenzionalmente tra i 15 e i 49 anni) che negli ultimi vent’anni sono diminuite di circa 1,5 milioni.

Figli, orientativamente uno solo (forse)
In Italia è ormai acclarato che sono cambiati i comportamenti riproduttivi per cui le famiglie di dimensioni ridotte sono divenute la normalità. Ma, questo da cosa è dipeso?
Le risposte possono essere molteplici.

Sicuramente sono cambiati sia i valori di riferimento e sia le priorità delle coppie contemporanee.
Rispetto ai valori si rinvia all’interessante Focus Aur “Crisi demografica e impoverimento della nostra autocoscienza” del sociologo Luca Diotallevi.
Rispetto alle priorità delle coppie in età feconda, per chi scrive, sembrano illuminanti le prime risultanze di una ricerca recentissima, il cui titolo è “Per una primavera demografica“, realizzata dalla Fondazione Magna Carta con l’obiettivo di indagare le cause profonde della denatalità e avanzare una serie di proposte per invertire la tendenza negativa delle nascite. In particolare, scendendo nel dettaglio delle questioni affiorate (tra le varie) risulta che:

Che dire a valle delle risultanze appena riportate? Di sicuro che, al netto delle questioni più strettamente valoriali, se si vuole incoraggiare una sterzata nell’orientamento riproduttivo delle coppie italiane, c’è bisogno di un salto di qualità delle politiche a contrasto del fenomeno della denatalità.

Con tutte le scusanti del caso, qualcosa nelle misure messe in piedi nel corso degli anni, come ci confermano i dati, non ha funzionato a dovere. Si pensi alle varie azioni che avrebbero dovuto favorire, ad esempio, la riconciliazione lavoro-famiglia; l’autonomia abitativa dei giovani, onde evitare che si rintanassero nella casa dei genitori proprio negli anni più fertili; l’occupazione femminile, essendo ormai chiaro a tutti che quando le donne partecipano di più al mercato del lavoro fanno più figli; il potenziamento dei servizi per l’infanzia; ecc.…

La questione ormai chiara è che, nell’Italia del terzo Millennio, un figlio si sceglie di averlo innanzitutto se non è percepito da parte dei genitori come un ostacolo all’autorealizzazione. E in questo, a pensarci bene, non c’è niente di male. Visto che generare un figlio è una scelta irreversibile: genitori lo si è per sempre.

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